Tirli è situata lungo la strada provinciale che conduce a Palazzuolo sul Senio ed è una zona particolarmente ricca di castagneti dal frutto pregiato.La frazione di Tirli è stata in passato una delle più popolose di tutto il territorio comunale: dal censimento del 1551 risulta infatti che mentre il capoluogo contava solo 250 abitanti, la frazione di Tirli ne aveva ben 756. Era dunque una zona di una certa importanza: qui gli Ubaldini di Susinana avevano ecificato un castello, poi ceduto ai fiorentini nel 1372 (di cui oggi non restano che pochi ruderi). L'edificio religioso originario era anch'esso molto antico, anteriore all'anno 1000; quello attuale, dedicato a San Patrizio, è stato completamente riscostruito e inaugurato nel 1929. La frazione di Tirli è ricoperta da vaste aree boscate: faggi, cerri e, in particolare, castagni dal frutto pregiatissimo. Tra i castagneti sono ancora ben visibili e attivi i seccatoi, antichi edifici in pietra serena destinati all'essiccamento dei marroni. Nella zona è possibile percorrere affascinanti itinerari, a piedi o in mountain-bike, lungo sentieri tracciati dal CAI che attraversano castagnati secolari di grande fascino (la Selva di Quedina) o si inerpicano sulla dorsale che conduce ai ruderi dell'antico Castello di Tirli e che fa da spartiacque tra Toscana ed Emilia Romagna.
Nella toponomastica locale “ronco” significa luogo isolato con sterpi e sodaglia, ma anche bosco dissodato e reso fertile: come il Ronco ai piedi di monte Faggiola (1031 m.s.l.m.) in una convalle a tre chilometri da Moraduccio sul confine di due regioni, la Toscana e l’Emilia, di tre province e tre comuni.
I primi colonizzatori del Ronco sono ignoti, ma presumibilmente sono gli stessi dell’alta e media Valle del Santerno, cioè tribù umbre e celtiche prima e associati romani poi.
Nel 572 si accenna per la prima volta a questi luoghi quando l’esercito bizantino di Ravenna inviò a Tirulum (Tirli FI) dei soldati per impedire la discesa di tribù longobarde che, battute presso Bologna, tentavano di scendere dal Santerno. Il Ronco a quel tempo, come altri luoghi nella valle, doveva essere una “villa” di qualche patrizio, cioè un podere aperto con un massaro e più famiglie di servi. Le difese militari intorno al Ronco sorsero più tardi in epoca feudale col Castello di Tirli e la Rocca della Paventa.
Nel 1312 la prima menzione scritta del Ronco. La nobile famiglia fiorentina dei Ghinazzi, di fede ghibellina, bandita da Firenze, fu accolta dagli Ubaldini al Ronco, loro feudo. Nel palazzo più antico del Ronco è tuttora visibile la loro insegna nobiliare: uno scudo con fascia dorata e tre gigli, o fiordalisi, la stessa dei Ghinazzi nella Pieve di San Cresci in Valcava. In breve questi esuli si identificarono col luogo di residenza e furono chiamati i “Ronchi del Ronco”.
Nel 1354 Niccolò e Figo Ronchi del Ronco dal comune di Tirli, “quandam de Valcava nunc de Roncho”(una volta di Valcava ora del Ronco), compaiono negli archivi del comune di Imola come confinanti imolesi; e da altri documenti dell’epoca si arguisce che i confini del Ronco da allora sono rimasti inalterati.
Nel 1373 i fiorentini distruggono il Castello di Tirli, l’ultimo feudo degli Ubaldini nel Mugello e li sottomettono alla Repubblica.
Nel 1497 Marco de Roncho è sindaco e amministratore del comune di Tirli.
Nel 1504 “Ronchinus de Roncho aedificavit parvulam ecclesiam S. Margheritae….”(edificò la piccola chiesa di Santa Margherita), quella tuttora esistente.
Nel 1506 i conti Vaini di Imola, in lotta coi Sassatelli per il dominio della città, distruggono la Rocca della Paventa e ne uccidono il castellano. Con la definizione ed il presidio dei confini tra Stato della Chiesa e Signoria dei Medici di Firenze, poi Granduchi di Toscana, qui fiorirono il contrabbando e la malavita. Si dice che il rio Canaglia che scende dal Ronco e taglia in due Moraduccio abbia preso il nome in quel tempo.
Nel 1538 i Ronchi del Ronco fondano e amministrano lo “spitale” di Santa Lucia a Moraduccio, dotato di lasciti, come quello che già amministravano a Tirli per l’asilo ai malati e ai pellegrini.
1590 la “battaglia del Ronco”. Alfonso Piccolomini noto patrizio bandito dalle Marche organizza una rivolta nel pistoiese contro il Granducato di Toscana e lo Stato della Chiesa; ma scoperto fugge sui monti con circa 160 armati, lungo il confine tra i due stati, per unirsi a bande di fuorilegge in Romagna, compiendo per strada delitti e azioni banditesche. Braccati da circa mille guardie di entrambi gli stati, il 22 giugno i banditi vengono accerchiati intorno al Ronco. Seguono per tutto il giorno rumorosi scontri a fuoco sulla Paventa e sulla Faggiola, ma a notte riescono a fuggire verso la Romagna lasciando quattro feriti dei loro ed un morto fra le guardie.
Nel 1596 un testamento della famiglia, rogato alla Massa di Castel del Rio, conferma che i Ronchi, benché esiliati, erano ancora ricchi di molti beni. Al Ronco, isolato tra i monti e a cavallo di due stati, quello di Firenze e quello della Chiesa, e dominato da due castelli, la Rocca della Paventa a nord e il Castello di Tirli a sud, la vita non fu mai facile e i suoi signori dovettero destreggiarsi con diplomazia tra l’uno e l’altro.
Nel 1788 il Granduca Leopoldo II, nel riordinare l’amministrazione dello stato, fece costruire qui due dogane che presero in mezzo il Ronco: una a Moraduccio (ancora esistente) e l’altra in vetta alla Macchia dei Cani sul monte Faggiola (incendiata durante un rastrellamento dell’ultima guerra perché ritenuta base partigiana della 36° Brigata “Garibaldi”).
Nel 1849 Garibaldi passò per questi monti. La notte del 30 Agosto, in fuga da Ravenna braccato dalla polizia papalina, attraversò la Faggiola diretto a La Spezia per riparare all’estero.
Nel 1804 l’ultimo discendente della famiglia, Pier Maria Ronchi, commissiona all’antiquario Luigi Gori di Firenze una memoria storica documentata sulle origini e glorie della sua casata. Poco dopo Pier Maria muore senza eredi.
1944 anno di guerra. Intorno alla Faggiola, durante la primavera si organizzarono le prime bande partigiane della 36° Brigata Garibaldi che nell’estate, in seguito ai rastrellamenti nazi-fascisti, si dislocarono più in alto intorno a monte Bastia. Lungo questo crinale, dopo lo sfondamento della Linea Gotica al passo del Giogo, scesero combattendo le truppe americane del 350° Reggimento “Blue Devils”. Sulla Rocca della Paventa, il 24 Settembre furono violentemente attaccati da reparti tedeschi della 44° Divisione, che inflissero loro numerose perdite.
Nel dopoguerra il Ronco passò per svariate mani, non sempre capaci, che infine lo saccheggiarono abbandonandolo. Così da ricca fattoria qual era con bestiame, grano, carbon dolce e marroni, ripartiti in nove poderi con altrettanti casolari sparsi e grosse famiglie di contadini, con l’ampia residenza del fattore e il solido palazzo padronale al centro, abbandonato a se stesso, in pochi anni si avviò a tornare il Ronco di tanti secoli prima.
I nuovi proprietari intendono riportare il Ronco a nuova vita: assieme al ripristino della viabilità, sono impegnati in opere di risanamento dei casolari abbandonati, del palazzo padronale e della chiesetta storica con validi progetti di sviluppo agrituristico e di valorizzazione dell’immenso patrimonio forestale in cui il Ronco è immerso.
Testo raccolto da Lorenzo Raspanti.
I primi colonizzatori del Ronco sono ignoti, ma presumibilmente sono gli stessi dell’alta e media Valle del Santerno, cioè tribù umbre e celtiche prima e associati romani poi.
Nel 572 si accenna per la prima volta a questi luoghi quando l’esercito bizantino di Ravenna inviò a Tirulum (Tirli FI) dei soldati per impedire la discesa di tribù longobarde che, battute presso Bologna, tentavano di scendere dal Santerno. Il Ronco a quel tempo, come altri luoghi nella valle, doveva essere una “villa” di qualche patrizio, cioè un podere aperto con un massaro e più famiglie di servi. Le difese militari intorno al Ronco sorsero più tardi in epoca feudale col Castello di Tirli e la Rocca della Paventa.
Nel 1312 la prima menzione scritta del Ronco. La nobile famiglia fiorentina dei Ghinazzi, di fede ghibellina, bandita da Firenze, fu accolta dagli Ubaldini al Ronco, loro feudo. Nel palazzo più antico del Ronco è tuttora visibile la loro insegna nobiliare: uno scudo con fascia dorata e tre gigli, o fiordalisi, la stessa dei Ghinazzi nella Pieve di San Cresci in Valcava. In breve questi esuli si identificarono col luogo di residenza e furono chiamati i “Ronchi del Ronco”.
Nel 1354 Niccolò e Figo Ronchi del Ronco dal comune di Tirli, “quandam de Valcava nunc de Roncho”(una volta di Valcava ora del Ronco), compaiono negli archivi del comune di Imola come confinanti imolesi; e da altri documenti dell’epoca si arguisce che i confini del Ronco da allora sono rimasti inalterati.
Nel 1373 i fiorentini distruggono il Castello di Tirli, l’ultimo feudo degli Ubaldini nel Mugello e li sottomettono alla Repubblica.
Nel 1497 Marco de Roncho è sindaco e amministratore del comune di Tirli.
Nel 1504 “Ronchinus de Roncho aedificavit parvulam ecclesiam S. Margheritae….”(edificò la piccola chiesa di Santa Margherita), quella tuttora esistente.
Nel 1506 i conti Vaini di Imola, in lotta coi Sassatelli per il dominio della città, distruggono la Rocca della Paventa e ne uccidono il castellano. Con la definizione ed il presidio dei confini tra Stato della Chiesa e Signoria dei Medici di Firenze, poi Granduchi di Toscana, qui fiorirono il contrabbando e la malavita. Si dice che il rio Canaglia che scende dal Ronco e taglia in due Moraduccio abbia preso il nome in quel tempo.
Nel 1538 i Ronchi del Ronco fondano e amministrano lo “spitale” di Santa Lucia a Moraduccio, dotato di lasciti, come quello che già amministravano a Tirli per l’asilo ai malati e ai pellegrini.
1590 la “battaglia del Ronco”. Alfonso Piccolomini noto patrizio bandito dalle Marche organizza una rivolta nel pistoiese contro il Granducato di Toscana e lo Stato della Chiesa; ma scoperto fugge sui monti con circa 160 armati, lungo il confine tra i due stati, per unirsi a bande di fuorilegge in Romagna, compiendo per strada delitti e azioni banditesche. Braccati da circa mille guardie di entrambi gli stati, il 22 giugno i banditi vengono accerchiati intorno al Ronco. Seguono per tutto il giorno rumorosi scontri a fuoco sulla Paventa e sulla Faggiola, ma a notte riescono a fuggire verso la Romagna lasciando quattro feriti dei loro ed un morto fra le guardie.
Nel 1596 un testamento della famiglia, rogato alla Massa di Castel del Rio, conferma che i Ronchi, benché esiliati, erano ancora ricchi di molti beni. Al Ronco, isolato tra i monti e a cavallo di due stati, quello di Firenze e quello della Chiesa, e dominato da due castelli, la Rocca della Paventa a nord e il Castello di Tirli a sud, la vita non fu mai facile e i suoi signori dovettero destreggiarsi con diplomazia tra l’uno e l’altro.
Nel 1788 il Granduca Leopoldo II, nel riordinare l’amministrazione dello stato, fece costruire qui due dogane che presero in mezzo il Ronco: una a Moraduccio (ancora esistente) e l’altra in vetta alla Macchia dei Cani sul monte Faggiola (incendiata durante un rastrellamento dell’ultima guerra perché ritenuta base partigiana della 36° Brigata “Garibaldi”).
Nel 1849 Garibaldi passò per questi monti. La notte del 30 Agosto, in fuga da Ravenna braccato dalla polizia papalina, attraversò la Faggiola diretto a La Spezia per riparare all’estero.
Nel 1804 l’ultimo discendente della famiglia, Pier Maria Ronchi, commissiona all’antiquario Luigi Gori di Firenze una memoria storica documentata sulle origini e glorie della sua casata. Poco dopo Pier Maria muore senza eredi.
1944 anno di guerra. Intorno alla Faggiola, durante la primavera si organizzarono le prime bande partigiane della 36° Brigata Garibaldi che nell’estate, in seguito ai rastrellamenti nazi-fascisti, si dislocarono più in alto intorno a monte Bastia. Lungo questo crinale, dopo lo sfondamento della Linea Gotica al passo del Giogo, scesero combattendo le truppe americane del 350° Reggimento “Blue Devils”. Sulla Rocca della Paventa, il 24 Settembre furono violentemente attaccati da reparti tedeschi della 44° Divisione, che inflissero loro numerose perdite.
Nel dopoguerra il Ronco passò per svariate mani, non sempre capaci, che infine lo saccheggiarono abbandonandolo. Così da ricca fattoria qual era con bestiame, grano, carbon dolce e marroni, ripartiti in nove poderi con altrettanti casolari sparsi e grosse famiglie di contadini, con l’ampia residenza del fattore e il solido palazzo padronale al centro, abbandonato a se stesso, in pochi anni si avviò a tornare il Ronco di tanti secoli prima.
I nuovi proprietari intendono riportare il Ronco a nuova vita: assieme al ripristino della viabilità, sono impegnati in opere di risanamento dei casolari abbandonati, del palazzo padronale e della chiesetta storica con validi progetti di sviluppo agrituristico e di valorizzazione dell’immenso patrimonio forestale in cui il Ronco è immerso.
Testo raccolto da Lorenzo Raspanti.
Nessun commento:
Posta un commento