LA PIEVE DI SANTA MARIA IN TIBERIACOScrive il Quarneti nella sua "Toponomastica di Brisighella":
"Il toponimo dell'antico castello risulta dalle "Bolle pontificie" del 1151 e del 1179, "Castrum et Curtis Montis Alti", sede fortificata di una grossa azienda longobarda. Dal sec. XIII al XIX è documentato Maggiore. Un documento parrocchiale del 1713 cita " Ecclesia Montis Mauri" evidenziano che si tratta di "corrupto vocabulo" per Maior/Maggiore.
La pieve si trova poco sotto la cima di Monte Mauro. Il primo documento in cui si ricorda la pieve di Santa Maria in Tiberiaco risale al 932 in un atto di Onesto Abate del monastero ravennate di S. Giovanni e Barbaziano. Non è ancora accertato se la pieve fosse all'interno delle mura del castello.
La pieve, di proprietà della Curia imolese, nella sua storia ha avuto un'ampia giurisdizione.
I resti dell'edificio, costruito parzialmente in blocchi di gesso e risalente all'ottocento, erano ridotti al campanile ed a parte dell'abside.
Attualmente è in corso una discutibile ricostruzione (si tratta in sostanza di un clamoroso "falso storico") che ha già danneggiato l'ambiente e che, se portata a termine come da progetto con la costruzione dell'annessa "canonica" e della "foresteria", verrebbe a determinare un grave impatto ambientale (foto a sinistra).
La presenza di grotte, doline e diffusi fenomeni carsici in una delle zone più integre della Vena del Gesso non sopporterebbe un edifico delle dimensioni pensate ed il conseguente afflusso e permanenza di persone
"Il toponimo dell'antico castello risulta dalle "Bolle pontificie" del 1151 e del 1179, "Castrum et Curtis Montis Alti", sede fortificata di una grossa azienda longobarda. Dal sec. XIII al XIX è documentato Maggiore. Un documento parrocchiale del 1713 cita " Ecclesia Montis Mauri" evidenziano che si tratta di "corrupto vocabulo" per Maior/Maggiore.
La pieve si trova poco sotto la cima di Monte Mauro. Il primo documento in cui si ricorda la pieve di Santa Maria in Tiberiaco risale al 932 in un atto di Onesto Abate del monastero ravennate di S. Giovanni e Barbaziano. Non è ancora accertato se la pieve fosse all'interno delle mura del castello.
La pieve, di proprietà della Curia imolese, nella sua storia ha avuto un'ampia giurisdizione.
I resti dell'edificio, costruito parzialmente in blocchi di gesso e risalente all'ottocento, erano ridotti al campanile ed a parte dell'abside.
Attualmente è in corso una discutibile ricostruzione (si tratta in sostanza di un clamoroso "falso storico") che ha già danneggiato l'ambiente e che, se portata a termine come da progetto con la costruzione dell'annessa "canonica" e della "foresteria", verrebbe a determinare un grave impatto ambientale (foto a sinistra).
La presenza di grotte, doline e diffusi fenomeni carsici in una delle zone più integre della Vena del Gesso non sopporterebbe un edifico delle dimensioni pensate ed il conseguente afflusso e permanenza di persone
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